Lascia l’amaro in bocca questa raccolta di racconti di Schmitt. Ci si chiede dove sia finita quella grande capacità – di cui l’autore francese aveva dato ampia prova in altre occasioni – di rovistare a fondo nell’animo dei propri personaggi fino a portare a galla la complessità, e al tempo stesso la semplicità, dei loro sentimenti.
La scrittura di Schmitt è pulita e scorrevole, d’accordo, e alcuni racconti sono interessanti.”Carini”, verrebbe da dire. È sullo stile, però, che casca l’asino. Invece di far trasparire gli stati d’animo dei personaggi attraverso quei dialoghi serrati e intensi che sa scrivere, l’autore francese decide di spiegare per filo e per segno cosa avviene nella loro testa. Il tono si fa didascalico, troppo esplicito e per niente allusivo, e le situazioni diventano prevedibili, a volte fastidiosamente caricaturali. Stupisce poi che proprio il racconto che dà il titolo al libro, e che nasce dal film che l’autore ha diretto, sia il più banale di tutti.
Un libro leggibile, insomma, senza aspettarsi troppo, per poi dimenticarlo in fretta.
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