Nello sfarzoso e coloratissimo palazzo si consuma il dramma della famiglia imperiale, chiusa in una rete di riti e tradizioni immutabili e al tempo stessa percorsa da contrasti, tradimenti e passioni che sfoceranno nell’inevitabile carneficina. Alla fine, rimossi i cadaveri e lavato via il sangue, migliaia di crisantemi torneranno a ricoprire i cortili del palazzo. Non a caso il titolo originale è The curse of the golden flower.
Se in Hero Zhang Yimou aveva celebrato la grandezza dell’eroe che accetta di sottomettersi a un sovrano duro ma giusto, ne La Città proibita il regista cinese racconta invece la ferocia del tiranno, disposto a tutto pur di mantenere integro il proprio potere e le tradizioni su cui esso si fonda. Centrale anche in questo caso la figura dell’Imperatore, non più saggio e visionario ma crudele e spietato, non più l’Unificatore ma il Despota. Diverso anche lo stile narrativo, meno poetico e più crudo, meno ricercato e più lineare mentre i combattimenti acrobatici in stile wuxiapan sono meno frequenti e ben gestiti. Ottimo il cast, eccezionale la fotografia.
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