Cella 211 inizia a bomba e non perde un colpo fino alla fine. Pochi minuti ed ecco che Juan, in procinto di diventare agente carcerario, si ritrova ferito e isolato nel bel mezzo della rivolta guidata dal carismatico detenuto Malamadre. Una rivolta apparentemente folle se non fosse che i ribelli dispongono di ostaggi eccellenti: tre membri dell’ETA, alla cui salute il governo tiene particolarmente. C’è da dire che, sebbene la violenza di Utrilla sia più che credibile, a volte la ricerca di empatia nei confronti dei detenuti rischia di farci dimenticare che non si tratta proprio di stinchi di santo. In fondo, però, è anche inutile cercare della denuncia sociale in questo film poiché ciò che conta è l’intreccio di relazioni e tensioni dentro e fuori dalla prigione; un cornice nella quale il binomio criminale-umano/poliziotto-bastardo diventa l’innesco del dramma personale del protagonista. Daniel Monzón ha talento narrativo, uno stile diretto e spedito ed è supportato da una gran coppia di attori: bravissimo Luis Tosar nel dar forma alla selvaggia umanità di Malamadre, convincente Alberto Amman nel caratterizzare la discesa all’inferno di Juan.
1 commento:
gran bel film!
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