Dopo la morte della moglie un vecchio reduce della guerra in Corea rimane solo in casa col suo cane e il suo rancore. Mangia male, tossisce sangue e disprezza tutti, a partire dai “musi gialli” che hanno invaso il suo quartiere. Sarà proprio grazie a due di essi, un timido ma volenteroso sedicenne e la sua spigliata sorella maggiore, che si riscoprirà capace di dedicarsi agli altri.
Una storia già sentita, insomma, senza originalità e ad alto rischio di melensaggine.
Però c’è di mezzo il vecchio Clint, e allora le cose cambiano.
Da regista Eastwood racconta con semplicità e linearità, alleggerisce senza banalizzare, regala notevoli inquadrature – Walt Kowalsky che fuma, in penombra, le nocche sporche di sangue – alterna commedia e dramma e rispolvera certi toni alla Callaghan-il Monco.
Ma è da attore che Eastwood regala il meglio di sé: per come si muove, per come ringhia, per come sorride, per come soffre, per come scherza.
Uno splendido addio alla recitazione.
Forse parlare di capolavoro è eccessivo ma Gran Torino è veramente un gran film.
Greylines
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