martedì 30 novembre 2010

Vieni via con me

Dice che Saviano è noioso, è prolisso, che cita quello senza però citare quell'altro.
Dice che Fazio è sempre il solito Fazio, che non morde, che è un subdolo buonista.
Dice che non c'era contradditorio*.
Dice che è il solito programma da sinistri che si credono i migliori, che fanno i professoroni arroganti, che parlano di cultura ascoltando De Andrè e Conte.
Dice che fanno i deboli con Maroni e i duri con quelli che non ci piace l'eutanasia.
Dice che la Rai è di tutti.
Dice che era un programma banale, retorico, fazioso, da sbadigli eccetera.
...
E allora fatelo voi il 40% di share senza tette e cronaca.
M.



* scriverò alla Rai chiedendo il contradditorio anche per gli editoriali di Minzolini e per l'Angelus del papa.



Impressioni dalla Steamland

Direttamente da Lucca, la mia intervista a Francesco Dimitri, su AtlantideZine.

domenica 21 novembre 2010

The social network? Mi piace

Quella che Fincher ci racconta in The social network è una lotta di classe, condotta, però, non da un rivoluzionario idealista, ma da un escluso invidioso e geniale. La vera e propria rivincita del nerd. Facebook rimane sullo sfondo mentre ad emergere sono le storie di giovani ambiziosi, cresciuti in un ambiente sì meritocratico, ma anche intriso di sfrenato arrivismo. The social network, in fondo, è una storia sul potere nonché una perfetta fotografia dei tempi moderni.
Bene, questo è il 'cosa', parliamo ora del 'come' Quel che abbiamo è una regia solida e incalzante, accompagnata da una sceneggiatura spumeggiante. Ok, e gli attori? Ottimi perché credibili e sfaccettati, mai caricaturali, a partire dall’impeccabile Jesse Eisenberg fino a un Justin Timberlake perfettamente in parte. Vogliamo parlare del montaggio? Forse che non bastano la fluida gestione dei continui salti cronologici o la sequenza della gara di canottaggio a convincere i soliti snob dai gusti difficili? E per chiudere in bellezza... la colonna sonora. C’è Trent Reznor, ed è in forma. Serve altro?
Andate al cinema, và.

martedì 16 novembre 2010

Le imprevedibili e brutali traiettorie del caso

Cella 211 inizia a bomba e non perde un colpo fino alla fine. Pochi minuti ed ecco che Juan, in procinto di diventare agente carcerario, si ritrova ferito e isolato nel bel mezzo della rivolta guidata dal carismatico detenuto Malamadre. Una rivolta apparentemente folle se non fosse che i ribelli dispongono di ostaggi eccellenti: tre membri dell’ETA, alla cui salute il governo tiene particolarmente. C’è da dire che, sebbene la violenza di Utrilla sia più che credibile, a volte la ricerca di empatia nei confronti dei detenuti rischia di farci dimenticare che non si tratta proprio di stinchi di santo. In fondo, però, è anche inutile cercare della denuncia sociale in questo film poiché ciò che conta è l’intreccio di relazioni e tensioni dentro e fuori dalla prigione; un cornice nella quale il binomio criminale-umano/poliziotto-bastardo diventa l’innesco del dramma personale del protagonista. Daniel Monzón ha talento narrativo, uno stile diretto e spedito ed è supportato da una gran coppia di attori: bravissimo Luis Tosar nel dar forma alla selvaggia umanità di Malamadre, convincente Alberto Amman nel caratterizzare la discesa all’inferno di Juan.

giovedì 11 novembre 2010

Corso sperimentale di dittatura applicata

Per mostrare ai propri studenti quanto facilmente possa insorgere una dittatura, un insegnante dai metodi alternativi trasforma la propria classe liceale in una piccola autocrazia, con tanto di simbolo, divisa e saluto. Peccato che l’esperimento riesca fin troppo bene. Seguendo le vite del professore e dei giovani alunni si assiste infatti al lento e inebriante montare dell’onda, come un unico organismo in camicia bianca, via via sempre più saldo al proprio interno e insofferente verso chi non ne fa parte o, peggio ancora, lo contrasta. Il tutto fino all’ovvia tragedia.
Grande pregio de L’onda sta nel riuscire a descrivere i meccanismi che portano all’instaurarsi di una dittatura sfruttando una narrazione sobria e lineare, che non svacca in pistolotti retorici o ipercerebrali. Film riuscito e interessante, peccato solo che non sempre l’impatto emotivo sia all’altezza di quello concettuale: la deriva autocratica spaventa più a livello di testa che di pancia.

lunedì 1 novembre 2010

Il dio cafone che posta su Facebook

Dopo la brusca interruzione della quarta stagione, il ragazzo prodigio John Doe ritorna. Lo fa con una serie al tempo stesso nuova e vecchia, con un nuovo copertinista, cui spetta il difficile compito di non far rimpiangere Massimo Carnevale, e con l’ormai rodata coppia Bartoli/Recchioni a tenere le redini del progetto. Lo stop forzato diventa uno spunto meta-narrativo per dare il via alla nuova trafila di problemi di JD, dio ateo dall’impagabile faccia da schiaffi che deve imparare a credere in sé stesso. Ai due autori piace rischiare e ogni tanto la fanno fuori dal vaso, ma questo primo numero è spumeggiante, grazie a un bel mix di dialoghi da commedia brillante, trovate geniali – Bob, Bill e Chewie sono meravigliosi – e filosofia pop.
Se l’obiettivo era “non rifare sé stessi senza rinunciare a sé stessi”, allora quest’inizio è più che promettente.