martedì 29 marzo 2011

Sucker Punch... sucks

Volete godervi Sucker Punch? Allora fate così: andate al cinema, gustatevi l’ottima intro e attendete il primo scontro: Baby Doll vs tre enormi samurai – uno dei quali armato con un Vulcan. No dico, un Vulcan – sulle note di questa canzone. Godete forte, dopodiché alzatevi e andatevene; il film non avrà altro da offrirvi. E lo dico con la tristezza nel cuore perché di ambizioni Sucker Punch ne aveva parecchie: una storia lineare su cui si innesta un mix di immagini e suggestioni pescate da generi diversi, in stile Kill Bill, con in più un gioco di “sogno dentro al sogno” che ricorda un po’ Inception. Tarantino e Nolan, però, sono lontani eoni. Snyder aveva sempre lavorato con sceneggiature non sue, e gli converrebbe continuare su quella strada: ogni volta che uno qualsiasi dei personaggi apre bocca, sentirete in sala l’inconfondibile rumore di un paio di testicoli che si schiantano al suolo. Riuscire a rendere noioso un film in cui fiche in gonnella si pestano con samurai, orchi, draghi, nazi e robot, con una martellante colonna sonora, e una bella idea di fondo, era impresa difficile. Zack Snyder c’è riuscito, buttando dentro di tutto ma senza amalgamare e, soprattutto, prendendosi troppo sul serio.
Ah, dimenticavo, questo film ha anche una morale.
Rimandato a settembre, Zack.

martedì 15 marzo 2011

L’assassino riluttante

C’è il ragazzo vincolato a un destino più grande di lui; c’è il burbero e fedele soldato; ci sono il vecchio re, il giovane e coraggioso principe, e il di lui viscido fratello; c’è il giullare che profetizza; c’è la magia buona e quella eretica, le leggende col loro carico di verità, le profezie che poi alla fine ci azzeccano e la temibile minaccia contro cui sembra non esserci speranza. La solita zuppa, direte voi.
E invece no, perché ai fornelli c’è Robin Hobb, una che il mestiere lo conosce. Non vi stupirà con trovate eclettiche, sapori esotici o uno stile estroso; al contrario, vi conquisterà con la semplicità della sua ricetta, tenendovi inchiodati al piatto, cucchiaio dopo cucchiaio, senza alcuna fretta.
Ne L’apprendista assassino la Hobb apparecchia la tavola presentandoci i diversi personaggi e i conflitti nei quali vengono coinvolti. Nonostante un finale un po’ frettoloso il libro riesce nel suo intento: catturare l’attenzione del lettore, trascinandolo nel medioevo low-fantasy dei Sei Ducati e nella testa tormentata del protagonista Fitz, figlio bastardo di un erede al trono e, suo malgrado, apprendista assassino. L’assassino di corte, il migliore della trilogia, non solo ci mostra il dispiegarsi di tutti i conflitti, ma introduce anche quel gran personaggio che è Occhi-di-notte, e si conclude con un fondamentale e drammatico snodo di trama, splendidamente raccontato. Il viaggio dell’assassino, infine, è il massiccio resoconto dell’ultima sfida di Fitz: un classicone del fantasy, il viaggio in terre ignote in cerca della soluzione del problema. Nella seconda metà del libro si va un po’ per le lunghe ma ciò non impedisce alla tensione di restare alta e al finale di essere convincente e credibile.
Nel complesso, quella dei Lungavista è una solida trilogia con toni da romanzo di formazione, i cui punti forti sono l’intreccio delle relazioni fra i diversi personaggi, sufficientemente drammatico da tenere in movimento la trama ma mai troppo forzato da risultare poco plausibile, e la scelta di soffermarsi anche su quelle azioni e situazioni non sempre funzionali alla storia ma indubbiamente efficaci nel renderla più ricca e verosimile, e pazienza se ciò significa doversi leggere parecchie pagine in più. Una volta terminata la lettura, anche di quelle sentirete la mancanza.