venerdì 19 febbraio 2010

Noi siamo una generazione caffè e sigarette

Tavolini, scacchi neri e bianchi, telecamere fisse. Equivoci, ipocrisie, invidie. Nomi sbagliati, appuntamenti imminenti, relazioni sfuggenti e affrettate. E, ovviamente, caffè e sigarette. Con questi elementi e con un cast meraviglioso Jim Jarmusch confeziona un piccolo gioiello da cineteca.
Fra un incipit luminoso e frenetico e una finale lento, buio e malinconico c’è tutto un succedersi di micro-episodi più o meno surreali – geniale quello con GZA, RZA e Bill ‘inculafantasmi’ Murray – molto teatrali e accomunati da una costante tensione, declinata in sfumature sempre diverse.
Si rimane rapiti, nella continua attesa di un qualcosa che non arriva, finché, alla fine, non resta che brindare alla vita.
Per i fan di Jarmusch: occhio alle autocitazioni.

martedì 16 febbraio 2010

C'è tanta gente ossessionata dal raggiungimento della felicità che diventa infelice al solo pensiero di non riuscire a ottenerla

Il pregio di questo libricino è la leggerezza mai banale con cui affronta un tema vastissimo. Schmid fa filosofia evitando intricate digressioni, paroloni in tedesco e citazioni a raffica e concentrandosi sulla distorta e limitata accezione del concetto di felicità nella società odierna. Da qui parte un discorso che va a soffermarsi sulla ricerca del senso, inteso come l’insieme di relazioni che legano diversi aspetti della nostra esistenza; individuarli e coltivarli è il modo migliore per raggiungere la “felicità come pienezza”, che riconosce e accetta anche i momenti negativi.
Il suo difetto? Una volta illustrato il suo pensiero il libro perde un po’ di freschezza. Quando si arriva alla fine ci si rende conto che le conclusioni erano già state tratte diverse pagine prima.
Vale comunque la pena leggerlo, per la sua scorrevolezza e gli spunti di riflessione che lascia dietro di sé.

giovedì 11 febbraio 2010

Questo… è il vero comunismo

Uscendo dal cinema dopo aver visto Il concerto ci si sente appagati. Ciò che rende questo film – un po’ favola musicale, un po’ commedia sgangherata – un piccolo gioiello è il tocco intenso di Radu Mihaileanu, molto bravo, come già in Train de vie, nel coinvolgere lo spettatore nel suo sogno ad occhi aperti. A dargli una mano c'è un cast di tutto rispetto, dal convincente protagonista Aleksei Guskov alle ottime spalle Dmitri Nazarov e Valeriy Barinov fino all’affascinante “solista” Mélanie Laurent.
Due ore che scorrono veloci fra improbabili musicisti, volgari miliardari, comunisti nostalgici, divertenti inganni, zingarate e, soprattutto, emozioni. E tanta musica.
Commovente il concerto finale.

domenica 7 febbraio 2010

Mi piacevano molto più da morti

La storia è sempre quella: una città contesa da bande rivali, un protagonista senza nome né passato che fa il doppio gioco, il massacro, la catarsi finale. Walter Hill non si fa intimidire dagli illustri precedenti – Sergio Leone, Akira Kurosawa e, ancora prima, Dashiell Hammett – e sceglie di tornare all’ambientazione anni ’30 del romanzo mantenendo però il gusto western dei due film, fra case di legno, polvere spinta dal vento e una fotografia dominata dal colore della terra bruciata dal sole. Come protagonista punta su un Bruce Willis di pistola e bottiglia facile, gli mette contro un notevole Christopher Walken e circonda entrambi di un buon cast di comprimari, dirigendo il tutto con mano salda e affidandosi alla nervosa chitarra di Ry Cooder per creare la giusta atmosfera. Il risultato è un film ben fatto, che regge dignitosamente il confronto col passato.