martedì 30 novembre 2010

Vieni via con me

Dice che Saviano è noioso, è prolisso, che cita quello senza però citare quell'altro.
Dice che Fazio è sempre il solito Fazio, che non morde, che è un subdolo buonista.
Dice che non c'era contradditorio*.
Dice che è il solito programma da sinistri che si credono i migliori, che fanno i professoroni arroganti, che parlano di cultura ascoltando De Andrè e Conte.
Dice che fanno i deboli con Maroni e i duri con quelli che non ci piace l'eutanasia.
Dice che la Rai è di tutti.
Dice che era un programma banale, retorico, fazioso, da sbadigli eccetera.
...
E allora fatelo voi il 40% di share senza tette e cronaca.
M.



* scriverò alla Rai chiedendo il contradditorio anche per gli editoriali di Minzolini e per l'Angelus del papa.



Impressioni dalla Steamland

Direttamente da Lucca, la mia intervista a Francesco Dimitri, su AtlantideZine.

domenica 21 novembre 2010

The social network? Mi piace

Quella che Fincher ci racconta in The social network è una lotta di classe, condotta, però, non da un rivoluzionario idealista, ma da un escluso invidioso e geniale. La vera e propria rivincita del nerd. Facebook rimane sullo sfondo mentre ad emergere sono le storie di giovani ambiziosi, cresciuti in un ambiente sì meritocratico, ma anche intriso di sfrenato arrivismo. The social network, in fondo, è una storia sul potere nonché una perfetta fotografia dei tempi moderni.
Bene, questo è il 'cosa', parliamo ora del 'come' Quel che abbiamo è una regia solida e incalzante, accompagnata da una sceneggiatura spumeggiante. Ok, e gli attori? Ottimi perché credibili e sfaccettati, mai caricaturali, a partire dall’impeccabile Jesse Eisenberg fino a un Justin Timberlake perfettamente in parte. Vogliamo parlare del montaggio? Forse che non bastano la fluida gestione dei continui salti cronologici o la sequenza della gara di canottaggio a convincere i soliti snob dai gusti difficili? E per chiudere in bellezza... la colonna sonora. C’è Trent Reznor, ed è in forma. Serve altro?
Andate al cinema, và.

martedì 16 novembre 2010

Le imprevedibili e brutali traiettorie del caso

Cella 211 inizia a bomba e non perde un colpo fino alla fine. Pochi minuti ed ecco che Juan, in procinto di diventare agente carcerario, si ritrova ferito e isolato nel bel mezzo della rivolta guidata dal carismatico detenuto Malamadre. Una rivolta apparentemente folle se non fosse che i ribelli dispongono di ostaggi eccellenti: tre membri dell’ETA, alla cui salute il governo tiene particolarmente. C’è da dire che, sebbene la violenza di Utrilla sia più che credibile, a volte la ricerca di empatia nei confronti dei detenuti rischia di farci dimenticare che non si tratta proprio di stinchi di santo. In fondo, però, è anche inutile cercare della denuncia sociale in questo film poiché ciò che conta è l’intreccio di relazioni e tensioni dentro e fuori dalla prigione; un cornice nella quale il binomio criminale-umano/poliziotto-bastardo diventa l’innesco del dramma personale del protagonista. Daniel Monzón ha talento narrativo, uno stile diretto e spedito ed è supportato da una gran coppia di attori: bravissimo Luis Tosar nel dar forma alla selvaggia umanità di Malamadre, convincente Alberto Amman nel caratterizzare la discesa all’inferno di Juan.

giovedì 11 novembre 2010

Corso sperimentale di dittatura applicata

Per mostrare ai propri studenti quanto facilmente possa insorgere una dittatura, un insegnante dai metodi alternativi trasforma la propria classe liceale in una piccola autocrazia, con tanto di simbolo, divisa e saluto. Peccato che l’esperimento riesca fin troppo bene. Seguendo le vite del professore e dei giovani alunni si assiste infatti al lento e inebriante montare dell’onda, come un unico organismo in camicia bianca, via via sempre più saldo al proprio interno e insofferente verso chi non ne fa parte o, peggio ancora, lo contrasta. Il tutto fino all’ovvia tragedia.
Grande pregio de L’onda sta nel riuscire a descrivere i meccanismi che portano all’instaurarsi di una dittatura sfruttando una narrazione sobria e lineare, che non svacca in pistolotti retorici o ipercerebrali. Film riuscito e interessante, peccato solo che non sempre l’impatto emotivo sia all’altezza di quello concettuale: la deriva autocratica spaventa più a livello di testa che di pancia.

lunedì 1 novembre 2010

Il dio cafone che posta su Facebook

Dopo la brusca interruzione della quarta stagione, il ragazzo prodigio John Doe ritorna. Lo fa con una serie al tempo stesso nuova e vecchia, con un nuovo copertinista, cui spetta il difficile compito di non far rimpiangere Massimo Carnevale, e con l’ormai rodata coppia Bartoli/Recchioni a tenere le redini del progetto. Lo stop forzato diventa uno spunto meta-narrativo per dare il via alla nuova trafila di problemi di JD, dio ateo dall’impagabile faccia da schiaffi che deve imparare a credere in sé stesso. Ai due autori piace rischiare e ogni tanto la fanno fuori dal vaso, ma questo primo numero è spumeggiante, grazie a un bel mix di dialoghi da commedia brillante, trovate geniali – Bob, Bill e Chewie sono meravigliosi – e filosofia pop.
Se l’obiettivo era “non rifare sé stessi senza rinunciare a sé stessi”, allora quest’inizio è più che promettente.

venerdì 22 ottobre 2010

Una bara, una buona idea e sessanta minuti di troppo

Prendi un attore, lo chiudi in un bara con un telefono mezzo scarico, uno zippo, una matita e poco altro e non lo fai mai uscire. Che Rodrigo Cortés sia bravo a destreggiarsi in uno spazio fisico e cinematografico così angusto è fuori discussione; lo stesso si può dire di Ryan Reynolds, vista la sua buona prova recitativa. Certe attese al telefono sono crudeli e la freddezza del datore di lavoro del protagonista è agghiacciante. Un soggetto perfetto per un corto, insomma. Invece Buried dura novanta minuti e dopo un po’ il gioco mostra i suoi limiti: i tanto strombazzati colpi di scena finiscono per diventare gratuiti – più simili a pizzicotti per tener viva l’attenzione che a spunti per creare un vero e proprio climax di tensione – mentre l’umorismo nero non sempre va a segno e il finale... mah.
Quindi, gente, prima di parlare di “capolavoro”, di “genialità”, di “feroce critica alla guerra” e di tirar di mezzo Hitchcock, vediamo di prendere un bel respiro e di pensarci su.

martedì 19 ottobre 2010

Philosopy for dummies

L'efficacia con cui Ben Duprè introduce, in 50 grandi idee di filosofia, alcuni dei più interessanti e attuali temi del pensiero umano, può portare a due conclusioni: o lui è decisamente bravo nel semplificare certi concetti rendendoli accessibili anche a chi non mastica Kant o Aristotele quotidianamente; oppure la filosofia può anche essere spiegata senza contorte acrobazie verbali e paroloni in tedesco.
Certi accademici potrebbero storcere il naso di fronte a certe semplificazioni o a certi riferimenti alla cultura popolare (Matrix, Narnia, 2001 odissea nello spazio), ma l'autore non corre mai il rischio della superficialità e, sebbene la lettura di questo libro non autorizzi ad atteggiarsi a esperti e meditabondi filosofi, non mancano gli stimoli per interessanti riflessioni né spunti per approfondire i temi trattati.

domenica 17 ottobre 2010

Con gli anni, ho invece imparato che i mezzi cambiano il fine

Chiunque abbia letto e apprezzato Q non potrà non emozionarsi nel vederne ricomparire l’irrequieto e ribelle protagonista. Un ritorno che avviene dopo un centinaio di pagine in Altai, nuovo romanzo storico del collettivo Wu Ming, ambientato fra Venezia e Costantinopoli 15 anni dopo il precedente. Mancano certi didascalici elenchi di nomi e luoghi che indebolivano la prima parte di Q, come pure certi flashback e flashforward talvolta confusionari; Altai ha una struttura più lineare e pulita senza per questo rinunciare a un intreccio coinvolgente e alla forza della rievocazione storica – ottimi i dialoghi in lingue e dialetti diversi. Manuel Cardoso, agente segreto della Serenissima e giudeo in lotta con le proprie origini, non ha lo stesso carisma del ‘viaggiatore del mondo’, cui viene affidata la riflessione centrale del libro, ma gli autori riescono comunque, tramite lui, a raccontare con efficacia uno dei tanti capitoli della continua fuga del popolo ebraico. Soprattutto, non si accontentano di confinare la Storia a pura e semplice ambientazione, ma le conferiscono un ruolo di primo piano.

martedì 12 ottobre 2010

Christopher e Leo nel paese dei sogni

A Nolan piace complicare le cose. Gli piace partire da trame lineari e poi giocare con la struttura narrativa, magari svolgendola al contrario oppure illudendo lo spettatore. In Inception ci racconta una storia di spionaggio “onirico” frazionata in più livelli: un sogno dentro a un sogno che a sua volta è contenuto in un altro sogno. Più ingranaggi narrativi sfasati eppure sincronizzati che il regista gestisce con maestria e grande talento “artigianale”, col supporto di un ottimo cast. Il problema, però, è che quando si butta tanta carne al fuoco il rischio di incappare in qualche incongruenza aumenta esponenzialmente e in effetti, arrivati alla fine del film, si rimane con certi dubbi sulla logicità di certe situazioni. Dettagli trascurabili? Può darsi, ma li si nota perché l’autore stesso li sottolinea e si tratta comunque di crepe in quella sospensione dell’incredulità di cui un film del genere ha bisogno.
Detto questo, Inception è un filmone.

lunedì 4 ottobre 2010

We Await Silent Tristero’s Empire

Secondo romanzo di uno dei maestri del post-modernismo americano, L’incanto del lotto 49 è un libro che va letto tutto d’un fiato. Bisogna lasciarsi trascinare dalla creatività di Pynchon, capace di sorprendere e ipnotizzare, e pazienza se, di tanto in tanto, si perde il filo o ci si dimentica di qualche dettaglio. Ciò che conta è il restare immersi in quel flusso estroso che è la storia di Oedipa Mass e della sua indagine su una possibile congiura postale che si protrae da secoli. Una vicenda surreale, intrisa di una crescente paranoia e popolata di personaggi al limite del grottesco. Si ride e ci si appassiona al mistero mentre la parodia della società americana ci sfila davanti come un allucinato carrozzone. Finale enigmatico, forse strafottente o forse amaramente cinico. In tutto questo non mancano i momenti in cui la genialità della prosa di Pynchon diventa logorante, con quel suo avvitarsi intorno a invenzioni e suggestioni che talvolta risultano astruse e gratuite.

venerdì 24 settembre 2010

Laggiù nella vaporità qualche volta ci si perde

Il Bianconiglio è una belva assassina al servizio della dispotica Regina; lo Stregatto è un umanoide felino con tanto di poncho e l’ambiguo ruolo di Diavolo dei Crocicchi; il Paese delle Meraviglie è diventata la Steamland, landa misteriosa costellata di tecnorifiuti, popolata da mutanti e pervasa dalla vaporità, una strana sostanza simile al vapore e in grado di generare potenti allucinazioni. L’immaginazione di Dimitri è fervida e questo suo Alice nel paese della vaporità parte col piede giusto. Arrivati a metà libro, però, le descrizioni si assottigliano, la trama perde originalità e i nuovi personaggi che compaiono hanno lo spessore della carta velina. Non mancano anche dei difetti stilistici: troppe parentesi, font strani e addirittura un grafico che risultano gratuiti, linguaggio a tratti troppo colloquiale. Nonostante ciò il libro si lascia leggere volentieri anche nei passaggi meno belli e fa ben sperare sul futuro di Dimitri, uno dei pochi giovani autori di letteratura fantastica italiana che abbia qualcosa di nuovo da raccontare e le potenzialità per farlo bene.

VERSIONE APPROFONDITA (AtlantideZine)

martedì 21 settembre 2010

Non si può scegliere quando dire la verità. La verità non te lo permette

Nolan bandisce il buio e crea un thriller ben fatto, scavato sulla faccia segnata dall’insonnia e dai sensi di colpa di un notevole Al Pacino. L’indagine sull’omicidio di una giovane nelle terre senza notte dell’Alaska è solo una scusa; a metà film, infatti, il colpevole viene svelato ma ciò che importa al regista è l’ambiguità morale dei due protagonisti, entrambi invischiati in una rete dalla quale non si possono districare.
Insomnia è il più sobrio e lineare dei film di Nolan nonché, forse, il meno “bello” (giusto perché gli altri sono splendidi) ma al tempo stesso è la prova che la sua bravura non sta solo nell’originalità di certe trovate ma anche nella grande padronanza del mezzo cinematografico, dalla regia al montaggio alla sceneggiatura. Aggiungeteci il piacere di vedere un Robin Williams così lontano dai suoi classici personaggi e un Hilary Swank che regge il confronto con i due pezzi grossi e avrete tutto quel che serve per un ottimo film.

venerdì 17 settembre 2010

42

Da una trasmissione di successo della BBC nasce il libro di successo di Douglas Adams: la Guida galattica per autostoppisti è il primo di una serie di romanzi dedicati alle sgangherate avventure dei viaggiatori interstellari Arthur e Ford. Fantascienza in chiave comica che risulta essere spassosa in certi punti ma soltanto simpatica in tutto il resto del libro. Fra le trovate migliori ci sono il robot depresso Marvin, l’astronave a Propulsione d’Improbabilità Infinita e i topi superintelligenti col loro complicatissimo esperimento, per non parlare della mitica Risposta alla vita, all’Universo, a tutto.
Adams sa essere spiritoso nel suo giocare coi cliché della fantascienza e riesce a non essere banale ma non sempre i tempi comici rendono al meglio; in definitiva, Terry Pratchett è tutt’altra roba.

martedì 14 settembre 2010

I’m Raino from Finland. We got Santa Claus

Sepolto nelle profondità della terra c’è un demone antico che viene liberato per avidità e qualcuno dovrà fermarlo. L’impianto narrativo di base è classico ma se si considera che il cattivone di turno altri non è che Babbo Natale allora la questione si fa interessante. Se poi la storia viene raccontata con ritmo ed efficacia, combinando folklore finalndese, atmosfere horror e humor nero l’applauso diventa obbligatorio. Rare exports: a Christmas tale è un divertimento cupo e sanguigno nel quale ogni elemento è azzeccato: la costante tensione, fatta di dettagli e mai troppo esplicita, la grottesca ironia, la trama semplice e diretta, la notevole fotografia, gli ottimi interpreti.
Fra colpi di scena ben dosati e gli splendidi paesaggi nordici, la trama procede senza mai incespicare fino allo scontro finale, con tanto di liberatorio “Happy fucking New Year”.
Tutto finito? No, c’è ancora una piccola e spassosa perla conclusiva.
Un piccolo gioiello presentato in prima mondiale al Festival di Locarno, nella speranza che la prestigiosa vetrina sia il lasciapassare per un’ampia distribuzione.

VERSIONE APPROFONDITA (AtlantideZine)

martedì 31 agosto 2010

Ma quale Grecia, l’Olimpo è a New York. Questi americani...


Riassumendo: qualcuno ha rubato la folgore a Zeus il quale, chissà poi perchè, dà la colpa all’ignaro figlio di Poseidone. Nel giro di dieci minuti il nostro eroe viene attaccato da una Furia e dal Minotauro, viene salvato da un satiro, conosce un centauro e scopre il campo delle Giovani Marmotte Semidivine. Poi affronta la Medusa, l’Idra e i mangiatori di loto, scende negli inferi, dimostra di non saper contare fino a quattro, incontra Ade che è un patetico pirla vestito da rockstar, viene aiutato da quella strafica imperiale di sua moglie, ritrova la folgore, suona chi l’aveva rubata, salva il mondo da una guerra divina e se ne torna dalle Giovani Marmotte. Non mancano la tipa che lo attizza e il simpatico amico negretto.
Chris Columbus confeziona un frullato di mitologia teen-pop, mortificando il sense of wonder con un ipertrofico ammassamento di creature buttate nel mucchio senza un minimo di suspense, preoccupandosi poco di trama e sceneggiatura e sprecando un cast interessante.
Insomma, una cazzata tonica, che però può divertire se una sera non avete proprio niente da fare.

Branca, Branca, Branca, Leon, Leon, Leon

Brancaleone da Norcia, improbabile ma coraggioso cavaliere, guida un gruppo di spiantati in un viaggio tragicomico attraverso un Medioevo di perdenti e miserabili, ben lontano dallo stereotipo cavalleresco ma non per questo privo di gesti di amicizia e di eroismo. Impossibile non sbellicarsi nel sentire il latino maccheronico che Monicelli si è inventato insieme agli sceneggiatori Age e Scarpelli ma, nonostante la comicità, è anche impossibile dimenticare l’onnipresenza della morte. Ma il linguaggio non è l’unico pregio de L’armata Brancaleone: notevoli i costumi, la colonna sonora e, soprattutto, strepitosa l’interpretazione di Gassman, primo fra gli ultimi, carismatico e generoso leader della scalcagnata compagnia. Un po’ sotto tono Volonté ma ci pensa Enrico Maria Salerno a dar man forte al protagonista col suo invasato predicatore. Commedia popolare ricca di riferimenti profondi, un classico del cinema italiano.

venerdì 27 agosto 2010

Il virus a cavallo fra gioco e narrativa

New York, 1946. Un virus di origine aliena colpisce la città, stermina rapidamente la maggior parte dei contagiati, sfigura il 90% dei sopravvissuti (i Jokers) e dona capacità sovrumane al restante 10% (gli Aces). Da allora il mondo è cambiato. Uomini e donne in grado di volare, di assorbire le menti altrui, di fermare il tempo o sollevare mezzi blindati si ritrovano coinvolti nelle grandi manovre politiche della guerra fredda mentre nelle malfamate strade di Jokertown, sobborgo della Grande Mela nel quale si radunano gli sfortunati e grotteschi mostri che hanno “pescato la carta sbagliata”, razzismo, malcontento e violenza crescono giorno dopo giorno.
Wild Cards, L’origine introduce il lettore all’universo condiviso di Martin e soci, nato da un gioco di ruolo e giunto, in America, al diciassettesimo volume.
L’edizione italiana è discutibile – frequenti errori di battitura, copertina insulsa – ma non sminuisce il fascino di una serie che deve il suo successo al sincero entusiasmo dei suoi autori, all’originalità di certi personaggi e al loro spessore psicologico.

VERSIONE APPROFONDITA (AtlantideZine)

martedì 24 agosto 2010

Alieni e vichinghi

Dunque, c’è il classico outsider che arriva nel villaggio vichingo e già lo capisci che flirterà con la femmina di turno, figlia ribelle del vecchio e saggio re e promessa all’ambizioso e arrogante tizio che potrebbe diventare re a sua volta. Ovviamente nessuno crede all’outsider quando dice di essere a caccia di draghi, neanche quando vedono gente squartata da enormi artigliate. Poi però fa amicizia con l’orfano e l’ubriacone, salva il re e diventa l’amicone di tutti. Successivamente il re crepa, la bella figa viene presa dal drago e il tizio arrogante e ambizioso muore eroicamente, dopodiché il protagonista ammazza il drago. Ovviamente.
Ok, sempre la solita solfa. Eppure Outlander un suo perché ce l’ha, soprattutto perché tanto il protagonista quanto il “drago” vengono da un altro pianeta. Sembra una cagata e la povertà della sceneggiatura non aiuta ma tutto sommato il film ha un buon ritmo e si lascia guardare, a patto di mantenere le pretese basse.

domenica 22 agosto 2010

Olocausto draconico

Quello post-apocalittico è uno scenario affascinante ma dopo Mad Max, Hokuto no Ken e Terminator diventa difficile non ripetersi. E allora? E allora buttiamoci dentro i draghi. Questo ha pensato Rob Bowman, regista de Il regno del fuoco. Ma se ci sono migliaia di draghi come mai i protagonisti li incontrano sempre uno per volta? E come mai la figa di turno se ne va in giro con l’elicottero senza che nessun mostro alato l’abbia ancora abbattuta? E dove la trova tutta quella benzina? Queste e altre leggerezze certo non facilitano quella “sospensione dell’incredulità” su cui un film del genere si basa ma vengono però messe in disparte da una narrazione ritmata e scorrevole. Efficace l’ambientazione, dominata dal grigio cenere e dal rosso fuoco, ben fatti i draghi e azzeccati i due carismatici protagonisti; Bale interpreta con mestiere l’umano e prudente capo comunità inglese mentre McConaughey molla i panni da fighetto e presta cranio rasato, muscoli tatuati e occhi spiritati all’avventato e spietato cacciatore americano. A completare questo film concreto e piacevole c’è uno scontro finale rapido ma non frettoloso e la messa al bando di certe sviolinate gratuite e sbavature retoriche.

giovedì 19 agosto 2010

L’amarezza dell’eroe

Dopo il successo de Il sesto senso, Shymalan ritrova Bruce Willis e confeziona intorno a lui il notevole Unbreakable. Unico sopravvissuto a un terribile incidente ferroviario, David Dunn viene avvicinato dal singolare esperto di fumetti Elijah Price, il quale ha un’ipotesi apparentemente assurda sulla sua miracolosa sopravvivenza. Il regista indiano racconta il viaggio di David alla scoperta di sé stesso con eleganza – notevoli i giochi di specchi con cui spesso riprende il fragile Elijah – e sobrietà, fino a giungere a un perfetto e drammatico finale a sorpresa. Ad affiancare il malinconico Willis c’è un Samuel L. Jackson misurato e convincente, una brava Robin Wright Penn e il giovane e ottimo Spencer Treat Clark.
Un film da vedere, specialmente ora che i supereroi stanno diventando più scuse per macinare quattrini che spunti e simboli intorno ai quali costruire storie intense e profonde.

lunedì 16 agosto 2010

Carne, ossa e il caro vecchio Newton... come cazzo facevano a sopravvivere?

Deathproof è indubbiamente il più erotico, logorroico, gratuito, feticista, insensato e demenziale lavoro di Tarantino. Il buon Quentin annoia a tratti, si cita addosso di continuo, sfodera un’indisponente parata di fighe, crea tensione come lui sa fare per un’ora e mezza e risolve il tutto con quindici minuti di inseguimenti e pestaggi. Più che un film, masturbazione cinematografica.
Inutile paragonarlo al resto della sua filmografia perché siamo dalle parti della cazzata d’autore ma se si hanno pazienza e dedizione vale la pena guardarlo; per Rosario Dawson, per le gambe da urlo della figlia di Sidney Poitier, per il formidabile Kurt Russell, per certi dialoghi, per la spontanea follia e perché alla fine, se si accettano le regole del gioco, ci si riesce anche a divertire.
Compare anche l’”Orso ebreo” Eli Roth.

sabato 14 agosto 2010

Diamanti di scarso valore

I film mediocri si dividono in due categorie: ci sono quelli dai quali non puoi aspettarti più di tanto perché bastano il trailer, la locandina, i nomi di autori e interpreti per intuirne il livello. E poi ci sono quelli che invece ti illudono, sfruttando ambientazioni esotiche, nomi di grosso calibro e la giusta dose di intrigo e sex appeal per creare delle aspettative che poi, immancabilmente, vengono deluse. After the sunset appartiene a questa seconda categoria. Un cast di prim’ordine per un classicone di guardie e ladri a caccia di un grosso diamante. Peccato che tutto sia mediocre, regia, sceneggiatura, storia, per non parlare degli attori: Brosnan gigioneggia senza mai cambiare espressione, Salma Hayek non fa nulla di particolare a parte ricordarci quant’è arrapante, Woody Harrelson fa la macchietta mentre Don Cheadle, il più sprecato, sembra uno che passava di lì per caso.
Niente di tragico, il film tutto sommato intrattiene senza annoiare e si lascia dimenticare in fretta. L’importante è tenere le aspettative basse.

giovedì 12 agosto 2010

“... come se tutti esistessero solo per essere usati nelle sue storie”

La vita fa rima con la morte si apre con una domanda: perché scrivi? Da essa ne derivano altre, che si affastellano nella prima pagina del libro. Sono domande alle quali lo scrittore protagonista si aspetta di dover rispondere al termine dell’incontro letterario cui è stato invitato come ospite d’onore. Prima, durante e dopo quest’incontro lo scrittore divaga, cogliendo dettagli dalle persone intorno a lui e sviluppandoli in abbozzi di storie, che a loro volta richiedono altri dettagli, generano interazioni e danno vita a intrecci spesso imprevedibili. Amos Oz gioca col flusso di coscienza, passa dalla prima alla seconda alla terza persona, scivola da un personaggio all’altro senza mai abbandonare l’unico luogo in cui è ambientato questo libro: la testa dello scrittore.
Una volta giunti all’ultima pagina non si trovano risposte dirette alle domande con le quali il libro è iniziato. Forse perché la risposta sta in quel divagare creativo e istintivo nel quale lo scrittore non può fare a meno di perdersi, varcando di continuo la soglia fra realtà e immaginazione.
Intrigante e riflessivo, non privo di autocompiacimento.

domenica 18 luglio 2010

Il sacrificio di una buona idea

La Sensei è una mangaka che ha rinunciato alle passioni per realizzare la storia che l’ha resa famosa. Hyoutsuki è un demone affascinante e potente, che disprezza gli umani e detesta il cambiamento. Una rara dote consente a lei di varcare il confine fra i mondi e di imprigionare nelle sue chine i destini di altre creature. Compreso lui che, quindi, decide di intervenire. Questo lo spunto di partenza di Esbat, storia di amore e sangue incentrata sui rapporti di potere, volontà e desiderio fra il demone e la donna.
Lara Manni riesce a confezionare una trama interessante, scegliendo di ignorare i soliti e noiosi “eroi buoni” per concentrarsi su Hyoutsuki e sul mezzo-demone Yobai, entrambi discretamente caratterizzati. Quando però sposta la sua attenzione sul mondo “reale” naufraga in una sconcertante marea di banalità: personaggi stereotipati e privi di spessore, versi di Rimbaud e Pascoli mischiati a strofe dei Doors e dei Nirvana, dinamiche giovani-adulti che sembrano uscite da un libro di Moccia. Il tutto condito da uno stile anonimo e troppo, troppo colloquiale.
Un’occasione sprecata. Purtroppo.

lunedì 12 luglio 2010

Droga, pallottole e la nebulosa del Granchio

Banerjhee Rolf ha una moglie affezionata, un giardino da coltivare, un’incrollabile passione per l’astronomia e un vicino tossicomane di nome Toby Pride. Saranno proprio lui e la sua strafatta fidanzata Esme a stravolgergli la vita. Fin dalle prime pagine di Cattive abitudini, discutibile traduzione di Dark companion, Jim Nisbet prende per mano il lettore e lo guida nel mondo esteriore e interiore di Banerjhee; lo fa con una semplicità quasi ipnotica, sfruttando divagazioni astronomiche e dialoghi al tempo stesso brillanti e verosimili. Poi, dopo più di metà romanzo, l’autore cambia ritmo, spiazza e sorprende, in un vortice di sangue e pallottole che porta, con spietata rapidità, a un finale di quelli che ti avvitano alla sedia, ti lasciano lì a fissare le ultime righe e ti fanno dire: “Bravo!”
E non è solo una questione di trama: quello che emerge dalla penna dello scrittore americano è quell’intreccio di paranoie e crisi socio-economiche che sono gli Stati Uniti post-11/09, un posto nel quale nessuno è veramente al sicuro e la vita vale quanto una puntata alla roulette.

VERSIONE APPROFONDITA (ATLANTIDEZINE)

giovedì 1 luglio 2010

La Storia senza una storia

All’inizio del XV secolo tre cavalieri partono da Segovia, Firenze e Gerusalemme diretti verso Oriente, mossi da diverse motivazioni ma con il medesimo obiettivo: Timur Beg, anche noto come Tamerlano, misterioso e temuto signore di un impero che si estende dai confini turchi a quelli cinesi. Un viaggio di crescita interiore e al tempo stesso un’occasione per descrivere un mondo spesso trascurato dai nostri libri di storia. Uno spunto interessante, insomma, quello de Il signore della Paura. Peccato che il risultato non sia all’altezza: la ricostruzione storica di un esperto come Cardini è indubbiamente profonda e dettagliata ma l’impalcatura narrativa è debole e quasi sempre sottomessa al bisogno di distribuire informazioni. Passaggi affrettati si alternano a prolisse divagazioni e le storie dei protagonisti – solo di due in realtà, lo spagnolo rimane decisamente in secondo piano – non vanno al di là di un’ordinaria vicenda di tradimento e vendetta.

martedì 22 giugno 2010

Sangue e crisantemi

Nello sfarzoso e coloratissimo palazzo si consuma il dramma della famiglia imperiale, chiusa in una rete di riti e tradizioni immutabili e al tempo stessa percorsa da contrasti, tradimenti e passioni che sfoceranno nell’inevitabile carneficina. Alla fine, rimossi i cadaveri e lavato via il sangue, migliaia di crisantemi torneranno a ricoprire i cortili del palazzo. Non a caso il titolo originale è The curse of the golden flower.
Se in Hero Zhang Yimou aveva celebrato la grandezza dell’eroe che accetta di sottomettersi a un sovrano duro ma giusto, ne La Città proibita il regista cinese racconta invece la ferocia del tiranno, disposto a tutto pur di mantenere integro il proprio potere e le tradizioni su cui esso si fonda. Centrale anche in questo caso la figura dell’Imperatore, non più saggio e visionario ma crudele e spietato, non più l’Unificatore ma il Despota. Diverso anche lo stile narrativo, meno poetico e più crudo, meno ricercato e più lineare mentre i combattimenti acrobatici in stile wuxiapan sono meno frequenti e ben gestiti. Ottimo il cast, eccezionale la fotografia.

martedì 15 giugno 2010

Preoccuparsi del futuro è utile quanto masticare un chewing gum per risolvere un’equazione matematica

Prendi due grandi attori, sbattili in una stanza insieme ad un giovane che reciti la parte dell’ingenuo e falli parlare di vendite, matrimoni, Gesù, lubrificanti industriali e senso della vita per un’ora e mezza. Et voilà, The Big Kahuna. Nella modesta suite di un albergo si confrontano e si scontrano tre diversi caratteri, tre diverse esperienze di vita, lungo un percorso di crescita e maturazione personali con sfumature beckettiane. Kevin Spacey, anche produttore, si trova un ruolo che gli consente di gigioneggiare con classe; accanto a lui c’è un Danny DeVito misurato, malinconico e bravissimo mentre lo sconosciuto Peter Facinelli riesce a non farsi fagocitare dai due mostri. Si parla tanto e non succede niente in questo film teatrale, che non sempre sta al passo delle proprie ambizioni ma che risulta comunque piacevole.

martedì 8 giugno 2010

Figliolo, sono il capitano Jack Sparrow, comprendi?

Orgogliosamente ritto in cima all’albero di una barca che affonda, con le sue treccine, i suoi occhi cerchiati e la sua cialtronesca spavalderia. Così Capitan Jack Sparrow fa il suo ingresso nell’immaginario cinematografico. The curse of the Black Pearl è forse il miglior film d’avventura dai tempi di Indiana Jones e gran parte del merito va alla straordinaria interpretazione di Johnny Depp. La sua grande prova non deve però far dimenticare che anche il resto del film è di ottimo livello: c’è un degno avversario, Barbossa, interpretato da un bravissimo Geoffrey Rush, c’è una regia dinamica, un’ottima colonna sonora, effetti speciali che arricchiscono la storia senza soffocarla, dialoghi brillanti e indovinati colpi di scena. Un mix grazie al quale Verbinsky e Bruckheimer rivitalizzano il genere piratesco in chiave pop-rock.
Intrattenimento di alta qualità, il cui unico difetto è, forse, l’essere un po’ lunghetto.

lunedì 7 giugno 2010

L’omicidio ha un significato e una forma, ma non ha soluzione

Alla storia romanzata di Jack lo Squartatore, ispirata alla più accreditata delle sue tante versioni, si sovrappone l’affresco crudo e dettagliato della Londra vittoriana alla fine del XIX secolo. Una Londra la cui ricchezza di storia e di simboli costituisce un terzo, potente livello di lettura e, al tempo stesso, la base della visionaria follia di William Gull, autodefinitosi precursore del XX secolo. Nella brillante appendice finale affiora infine un quarto livello, che parte dalle innumerevoli ricostruzioni dei delitti di Whitechapel per arrivare all’essenza stessa della figura dell’omicida e di ciò che lui e il suo mito rappresentano.
From hell è insomma un’opera ambiziosa e profonda, i cui toni cupi sono splendidamente illustrati dallo stilizzato bianco e nero di Eddie Campbell. Alan Moore si compiace nel mostrare la propria erudizione e certe volte risulta un po’ troppo prolisso ma glielo si perdona, visto che il risultato è un capolavoro drammatico, storico, ironico e visionario.
Fondamentali le note, che aiutano a riordinare e interpretare i tanti dettagli di cui è ricco il testo.

venerdì 4 giugno 2010

Metti dei nani davanti a una cinepresa. Canteranno ‘ehihò’

In Stelle cadenti Terry Pratchett ci parla di realtà, delle sue sfumature e delle idee folli che di tanto in tanto vi si insinuano. Tutto ha inizio quando gli alchimisti del Mondo Disco inventano il cinematografo e vanno ad usarlo a Holy Wood, luogo dal passato pericoloso e dimenticato. Su questa base l’autore inglese costruisce una spassosa avventura, arricchita da una galleria di assurdi personaggi – splendidi gli animali parlanti, soprattutto Gaspode – e culminante in un epico finale che richiama, a parti invertite, la scalata di King Kong al grattacielo.
Pur lanciando parecchie sarcastiche frecciate sul mondo del cinema (o meglio, dell’industria del cinema), Pratchett preferisce puntare più sulla parodia che sulla satira, giocando con gli stereotipi hollywodiani con lo stesso humor intelligente e mai volgare con cui per anni ha giocato con gli stereotipi del fantasy.
Risate assicurate.

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giovedì 3 giugno 2010

A quanto pare, tutti vanno a letto con tutti

Diciamolo, i Coen hanno fatto film migliori. Detto questo, Burn after reading è tutt’altro che brutto: l’idea non è male, l’intreccio, nonostante una partenza non troppo brillante, è ben gestito e non mancano un paio di grandi trovate*. Il cast, poi, è pregevole, non solo perché ricco di pezzi da novanta ma perché questi pezzi da novanta si dimostrano motivati: su tutti Malkovich col suo ex-spione rabbioso e alcolista, Pitt col suo palestrato imbecille, Clooney perfettamente calato nei panni di un cialtrone erotomane e paranoico e la McDormand ben scelta per interpretare una maniaca della chirurgia plastica. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti; quel che manca è l’amalgama, il tocco dello chef di classe, quel “non so che” che fa la differenza. Nella girandola di tradimenti e inganni che han messo in piedi, i fratelli del Minnesota finiscono con il perdere un po’ la bussola, confezionando così un film che per molti registi sarebbe notevole ma che per loro è soltanto discreto.

*: quella della poltrona di Clooney è strepitosa.

martedì 1 giugno 2010

Anche i bamboccioni crescono

Giovane rocker 35enne in crisi con le proprie ambizioni decide di tornare a casa dopo quattro anni. Qui ritrova il fratello esaurito, la sorella che ha mollato l’università ed è cronicamente priva di fidanzato, la madre ai corsi di meditazione, il padre che gioca a golf e l’impresa di famiglia sull’orlo della bancarotta.
Ennesimo ritratto generazionale in salsa italiana, Non pensarci è una commedia leggera con venature di malinconia, che scorre via come acqua fresca, senza far danni ma senza neanche lasciare troppo il segno. Benché penalizzato da una sceneggiatura interessante solo a sprazzi e da una narrazione non sempre appassionata, Zanasi riesce comunque a raccontare la semplicità della vita di provincia senza scadere nel banale. Bene Mastandrea e Battiston, bella la Caprioli, c’è anche Caterina Murino che ha una particina e dispensa sorrisi e scollature.
Simpatico.

mercoledì 26 maggio 2010

Un giorno senza la notte, una notte senza il giorno

Ladyhawke è uno di quei classici che si guarda sempre con piacere. Il trucco sta nella semplicità, in primo luogo dei personaggi: due innamorati, lo scaltro giovane che li aiuta, il bieco cattivo che li ha maledetti, il vecchio monaco in cerca di redenzione. E poi la trama, essenziale senza essere sbrigativa, e i dialoghi, funzionali senza essere miseri. Insomma, poche cose ma fatte bene e pazienza se la colonna sonora è inascoltabile. Bella la fotografia e ottimo il finale nella cattedrale, dove Donner costruisce un happy ending romantico evitando gratuite melensaggini e offrendo la miglior inchiodatura di vescovo che si ricordi. Buono il cast, con un Rutger Hauer convincente e lo splendore indescrivibile e illegale di Michelle Pfeiffer.
C’è anche un irriconoscibile Alfred Molina nel ruolo del cacciatore.

domenica 23 maggio 2010

Noia fra le dune

Dunque, c’è questo campione di parkour di umili origini che diventa principe e passa il suo tempo a correre dietro a una sacerdotessa tanto gnocca quanto petulante e a scappare da cattivi tanto stupidi quanto improbabili, guidati da un Ben Kingsley ridicolmente mefistofelico. Tutto ciò avviene in una sequela di scene di inseguimenti, duelli e bisticci amorosi tenute insieme con lo sputo, che poi sarebbe la trama di Prince of Persia.
E non venitemi a dire che in fondo bisogna accontentarsi perche è un film tratto da un videogioco: la trilogia dei Pirati dei Caraibi (stesso produttore) era ispirata ad una giostra ed è ben lontana dall’essere una schifezza. Il merito non era soltanto di un Depp da Oscar ma anche del resto del cast, dei colpi di scena, dei dialoghi, della colonna sonora e della logica con cui la storia si snodava. Tutta roba che qui manca, soprattutto la logica della storia.
Unica perla: Alfred Molina e il suo schiavista-imprenditore appassionato di struzzi.

giovedì 13 maggio 2010

Rise and rise again, until lambs become lions

C’è un Robin leale, carismatico e ribelle; una Marion combattiva, affascinante e (quasi) indomabile; ci sono gli allegri compagni che sono, giustamente, allegri; c’è Fra’ Tuc che è un simpatico beone; c’è lo sceriffo sfigato; c’è un principe Giovanni viscido e pavido. Insomma, c'è tutto quello che ci si aspetta da un film su Robin Hood, con l’aggiunta di qualche interessante variazione. E con un cast della madonna.
Altro che il gladiatore con arco e frecce, questo è meglio.
Poi però, arrivato a metà film, al buon Ridley scappa il piede sull’acceleratore e il preannunciato orgasmo cinematografico si risolve in una venuta un po’ troppo frettolosa, con certe soluzioni narrative un po’ tirate per i capelli. Film comunque avvincente e dinamico, senza troppa retorica e con belle scene d’azione. Meglio de Le Crociate ma Massimo Decimo Meridio e il poco conosciuto Robin Hood di John Irvin restano un gradino più in su.

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mercoledì 12 maggio 2010

Leon, che nome cazzuto

Raccontare una platonica storia d’amore fra un sicario e una ragazzina poteva essere un’idea rischiosa; troppo facile scivolare nella banalità o nel cattivo gusto. Luc Besson, in Leon, ci riesce in pieno, realizzando il suo miglior film grazie a un indovinato equilibrio di violenza, delicatezza, malinconia, ironia e dramma che nei lavori successivi non riuscirà più a ricreare. La scena d’azione conclusiva poi è un vero gioiello. Di certo però non avrebbe ottenuto lo stesso risultato senza una spettacolare coppia di protagonisti: difficile infatti dire se sia più strepitoso Jean Reno, col suo killer professionista e goffamente umano, o la giovanissima Natalie Portman, con la sua audace ragazzina in cerca di amore e vendetta. Bene anche Gary Oldman e il suo poliziotto banditesco e schizzato. Ottima colonna sonora.

Uno storpio, un matto e un vero fantasy italiano

Barbi approfitta di questa riedizione delle avventure del gobbo becchino Ghescik e dello squilibrato cacciatore di topi Zaccaria per limare e correggere, eliminando certe ingenuità (non tutte) e dando più spazio alla prostituta Isotta, la cui uscita di scena nella precedente versione risultava parecchio affrettata. Il risultato è un libro solido e piacevole, scritto con uno stile lineare e pulito che non brilla per inventiva ma neanche pecca di presunzione. L’incastro narrativo è ben costruito e procede spedito fino alla conclusione senza incappare in forzature o cali di ritmo, mentre il bilanciato mix di ironia e dramma, unito alla simpatica e cialtronesca furbizia del becchino storpio, forse il vero protagonista, e all’ambientazione rurale, dà un tocco di “italianità” a questo romanzo.
Da leggere se vi siete stufati della paccottiglia scopiazzata da Tolkien e distorta in chiave teen che gli editori italiani spacciano per “fantasy nostrano”.

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lunedì 10 maggio 2010

L’assassina dagli occhi azzurri

Guardando Nikita non si può fare a meno di notare i tanti difetti di una sceneggiatura ricca di situazioni sconclusionate e forzature, che risulta poco credibile soprattutto quando racconta l’addestramento della protagonista e le sue imprese sul campo. Quel che stupisce è che, ciò nonostante, si finisce per restare coinvolti nelle vicende della giovane disadattata condannata all’ergastolo, reclutata dai servizi segreti per diventare una sicaria e costretta a vivere una vita divisa fra sentimento e dovere. Il merito è tutto della strepitosa interpretazione di Anne Parillaud, che dona spessore e intensità al personaggio di Nikita e tiene in piedi un film altrimenti mediocre. Divertente la comparsata di Jean Reno, bello il finale secco ed essenziale, notevole il tema musicale di Eric Serra.

domenica 2 maggio 2010

Meno male che Robert c’è

Iron Man 2 è talmente costruito sul personaggio di Tony Stark che non sarebbe strano se l’avesse anche scritto e diretto di persona, il che è un pregio, visto che Robert Downey Jr è in gran forma, ma è anche una debolezza. Già, perché puntando tutto su di lui si è perso qualcosa in tutto il resto. Trama e sceneggiatura sono infatti meno solide e brillanti del primo episodio e gli effetti speciali diventano un po’ troppo invasivi. A risentirne di più però sono gli altri personaggi – piuttosto piatti – e il cast stellare arruolato per interpretarli: gli unici che riescono a non farsi fagocitare dall’istrionico Robert sono la Paltrow, che si rivela anzi un’ottima spalla, e Jackson, con la sua fugace apparizione. Sprecati Johansson e Cheadle, poco convincente Rourke, fastidioso Rockwell.
Insomma, senza il buon Robert Iron Man 2 sarebbe soltanto un carrozzone frettoloso e scintillante, quasi interamente basato su battutine e su un ipertrofico bum-bang-crash. Con lui diventa un divertente film di intrattenimento, sebbene fosse comunque lecito aspettarsi un qualcosa di più.

mercoledì 28 aprile 2010

Surrealismo sotto le righe

Prima dei Tenenbaum e delle immersioni di Steve Zissou, prima dei treni per il Darjeeling e delle volpi in stop motion ci sono un eccentrico teen-ager e un laconico industriale che si contendono l’amore di una maestra giovane e vedova. Tanti dei temi cari a Wes Anderson fanno la loro comparsa in Rushmore, conditi dal tocco surreale, ironico e malinconico che è diventato il marchio di fabbrica del regista americano. Peccato però che il risultato non sia convincente come nei lavori successivi: spesso infatti il film sembra perdere la bussola e non sempre le buone interpretazioni della coppia Schwartzman/Murray e certe eccentriche trovate di regia e sceneggiatura bastano a rimetterlo in careggiata. Detto questo, i film brutti sono un’altra roba e il talento di Anderson, sebbene ancora grezzo, c’è e si vede.

domenica 25 aprile 2010

Massiccio, pesante e noioso

Acclamato come un classico della letteratura fantastica, Tito di Gormenghast è un romanzo gotico/allegorico scritto con uno stile lento ed enfatico che, se da un lato ben si adatta alla rappresentazione dell’esistenza della famiglia de’ Lamenti, pietrificata in un’assurda etichetta dettata dalle tradizioni, dall’altro risulta essere eccessivo e stancante. Le lunghe e intricate descrizioni in cui Peake si avventura dilatano all’inverosimile ogni particolare, generando noia. Spesso poi, si ha l’irritante sensazione che tutta questa verbosità sia dettata più da esibizionismo stilistico che da sincere necessità narrative.
Peccato, perché le idee interessanti non mancano e i personaggi, a metà strada fra il simbolico e il caricaturale, hanno un loro particolare fascino.
Più che un libro, un greve bassorilievo, ampiamente sopravvalutato.

giovedì 22 aprile 2010

Di mitologico c’è solo la stupidità

In Scontro fra titani un Perseo palestrato ed espressivo quanto un termosifone si mena con mostri sempre più grossi e sempre più idioti. Più che un film sembra una partita di D&D giocata da tredicenni invasati e totalmente privi di senso della narrazione. Gli dei sono vestiti come i Cavalieri dello Zodiaco ma meno credibili, guidati da uno Zeus imbecille e volubile e ingannati da un Ade ridicolmente perfido. Poi ci sono la medusa, il kraken (nell’Antica Grecia? Temuto anche dagli dei? Boh...), pegaso, gli scorpioni giganti (nell’Antica Grecia? Boh...) e tre streghe scopiazzate da Del Toro. E i titani, direte voi. No, niente titani. E il senso del titolo? Boh...
Regia e sceneggiatura non pervenute e l’unico attore che perlomeno finge di recitare (Pete Postlethwaite) crepa dopo tre minuti. Al confronto G.I. Joe sembra un film di Antonioni e il noioso Transformers 2 un film decente.
Talmente brutto da essere involontariamente comico.

lunedì 19 aprile 2010

Di volpi, poesia e anarchia

Mentre in tanti fanno a gara ad appiccicare inutili 3D ai propri blockbuster, Wes Anderson sceglie di puntare sull’animazione in stop-motion per portare al cinema un racconto di Rohal Dahl; il risultato è un piccolo grande film, emozionante e poetico. Fantastic mr. Fox è pervaso dalla vena surreale del regista americano, dal suo humor, dai suoi colori, dalle sue musiche. Bastano pochi minuti per dimenticarsi di avere a che fare con dei pupetti di plastilina e ritrovarsi conquistati da questa storia che inneggia a Robin Hood strizzando l’occhio a Sergio Leone. Dopo un inizio folgorante il film perde qualche colpo nella seconda parte ma si chiude con eleganza, confermando, casomai ce ne fosse ancora bisogno, l’originale talento di Anderson.
Splendida l’apparizione del lupo.


giovedì 8 aprile 2010

Aliens from the ghetto

L’inizio è una bomba: c’è l’astronave, ci sono gli alieni, c’è il ghetto. Punto. In medias res, dritti al cuore del problema. Lo stile documentaristico si dimostra fin da subito uno dei punti di forza del film perché contribuisce a creare quell’atmosfera di surreale verosimiglianza che lo rende a modo suo unico. L’altra gran trovata è il rovesciamento dello stereotipo degli extraterrestri – non più invasori ma vittime – raccontata tramite una classica storia di caduta e redenzione.
Il solo vero difetto imputabile a District 9 è la sceneggiatura: la credibilità conquistata in pochi minuti viene infatti azzoppata da una non indifferente sequela di incoerenze e forzature di trama. Ciò non toglie che il primo lungometraggio del giovane Neill Blomkamp, prodotto da Peter Jackson, sia innovativo e intelligente, con un ritmo serrato e degli effetti speciali belli e, soprattutto, funzionali.
Finale apertissimo.

sabato 3 aprile 2010

Preferisco leggere o vedere un film piuttosto che vivere, nella vita non c’è una trama

De Luigi è uno scrittore imbranato, Abatantuono un ex-hippie di mezz’età, la Bilello è brava e bella, la Buy interpreta la Buy che interpreta la solita moglie in crisi e Bentivoglio, coi suoi compassati e malinconici sorrisi, è una spanna sopra tutti. Personaggi stereotipati coi quali Salvatores sperimenta con leggerezza, citando Pirandello e i Soliti Sospetti, entrando e uscendo dalla narrazione e svelandone il trucco. Happy familiy è un gioco cinematografico che diventa rifugio non solo per il protagonista Ezio ma anche, forse, per Salvatores stesso. È questa impronta intimistica a consentire al film di non essere solo un ambizioso esperimento. Non sarà una delle sue migliori opere ma è riuscito e divertente, riesce a parlare di paure usando toni da commedia e ci regala una Milano splendida, ora solare e immaginata, ora notturna e musicale.

mercoledì 24 marzo 2010

Saper scrivere non ha niente a che fare con la buona educazione

Le storie che a Lansdale piace raccontare sono piene di sangue, violenza, sesso perverso, merda e turpiloquio e Altamente esplosivo ne offre un’interessante selezione, spaziando fra i tanti generi sperimentati dallo scrittore texano: horror, gangster story, urban fantasy, pulp, grottesco.
Guai però a farsi trarre in inganno: dietro la facciata pulp e volgare si nascondono personaggi intensi e ‘vivi’, che si tratti di sgrammaticati pistoleri, violenti gangster, ottusi poveracci, ragazzini o giganti, le cui vicende sono magistralmente narrate con quello “stile Lansdale” che è, come sempre, una garanzia: vibrante e dinamico, spesso carico di una tensione magistralmente costruita, ricco di un umorismo graffiante, spietato e cinico.
Lettura a tinte forti per chi apprezza tanto l’adrenalina quanto la buona letteratura.

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giovedì 18 marzo 2010

L’evoluzione della forma non dipende molto da quali geni hai, ma da come li usi

Trattandosi di un libro divulgativo, chi già lavora nel campo dell’evo-devo potrebbe non trovare molto utile Infinite forme bellissime. Diverso il discorso per chi, invece, si avvicina al tema da profano o per chi abbia già delle basi di biologia dello sviluppo o di biologia evolutiva; in tal caso queste pagine potranno essere un ottimo punto di partenza per l’esplorazione. Carroll tratta argomenti complessi con efficace semplicità e li condisce con una buona visione d’insieme e una bella dose di passione, riuscendo a trasmettere l’importanza assunta da questo nuovo approccio nell’ambito degli studi sul come e sul quando gli organismi viventi si evolvono.

venerdì 12 marzo 2010

Ah, che tragedia essere giovani, girovaghi e promiscui

Dopo il successo de L’appartamento spagnolo Cedric Klapisch ci ha riprovato ma la magia si è persa per strada: Bambole russe sembra scritto da un bruttino sfigato e un po’ represso che sogna di andar su e giù per l’Europa rimorchiando qualsiasi bella figa che gli capiti a tiro. Il brio e la leggerezza del film precedente sono stati fagocitati da una regia anonima, da un protagonista tanto irritante quanto poco credibile e da una sceneggiatura banale e prevedibile, che vorrebbe parlar d’amore ma riesce solo a sfornare stereotipi.
Bah.