mercoledì 28 aprile 2010

Surrealismo sotto le righe

Prima dei Tenenbaum e delle immersioni di Steve Zissou, prima dei treni per il Darjeeling e delle volpi in stop motion ci sono un eccentrico teen-ager e un laconico industriale che si contendono l’amore di una maestra giovane e vedova. Tanti dei temi cari a Wes Anderson fanno la loro comparsa in Rushmore, conditi dal tocco surreale, ironico e malinconico che è diventato il marchio di fabbrica del regista americano. Peccato però che il risultato non sia convincente come nei lavori successivi: spesso infatti il film sembra perdere la bussola e non sempre le buone interpretazioni della coppia Schwartzman/Murray e certe eccentriche trovate di regia e sceneggiatura bastano a rimetterlo in careggiata. Detto questo, i film brutti sono un’altra roba e il talento di Anderson, sebbene ancora grezzo, c’è e si vede.

domenica 25 aprile 2010

Massiccio, pesante e noioso

Acclamato come un classico della letteratura fantastica, Tito di Gormenghast è un romanzo gotico/allegorico scritto con uno stile lento ed enfatico che, se da un lato ben si adatta alla rappresentazione dell’esistenza della famiglia de’ Lamenti, pietrificata in un’assurda etichetta dettata dalle tradizioni, dall’altro risulta essere eccessivo e stancante. Le lunghe e intricate descrizioni in cui Peake si avventura dilatano all’inverosimile ogni particolare, generando noia. Spesso poi, si ha l’irritante sensazione che tutta questa verbosità sia dettata più da esibizionismo stilistico che da sincere necessità narrative.
Peccato, perché le idee interessanti non mancano e i personaggi, a metà strada fra il simbolico e il caricaturale, hanno un loro particolare fascino.
Più che un libro, un greve bassorilievo, ampiamente sopravvalutato.

giovedì 22 aprile 2010

Di mitologico c’è solo la stupidità

In Scontro fra titani un Perseo palestrato ed espressivo quanto un termosifone si mena con mostri sempre più grossi e sempre più idioti. Più che un film sembra una partita di D&D giocata da tredicenni invasati e totalmente privi di senso della narrazione. Gli dei sono vestiti come i Cavalieri dello Zodiaco ma meno credibili, guidati da uno Zeus imbecille e volubile e ingannati da un Ade ridicolmente perfido. Poi ci sono la medusa, il kraken (nell’Antica Grecia? Temuto anche dagli dei? Boh...), pegaso, gli scorpioni giganti (nell’Antica Grecia? Boh...) e tre streghe scopiazzate da Del Toro. E i titani, direte voi. No, niente titani. E il senso del titolo? Boh...
Regia e sceneggiatura non pervenute e l’unico attore che perlomeno finge di recitare (Pete Postlethwaite) crepa dopo tre minuti. Al confronto G.I. Joe sembra un film di Antonioni e il noioso Transformers 2 un film decente.
Talmente brutto da essere involontariamente comico.

lunedì 19 aprile 2010

Di volpi, poesia e anarchia

Mentre in tanti fanno a gara ad appiccicare inutili 3D ai propri blockbuster, Wes Anderson sceglie di puntare sull’animazione in stop-motion per portare al cinema un racconto di Rohal Dahl; il risultato è un piccolo grande film, emozionante e poetico. Fantastic mr. Fox è pervaso dalla vena surreale del regista americano, dal suo humor, dai suoi colori, dalle sue musiche. Bastano pochi minuti per dimenticarsi di avere a che fare con dei pupetti di plastilina e ritrovarsi conquistati da questa storia che inneggia a Robin Hood strizzando l’occhio a Sergio Leone. Dopo un inizio folgorante il film perde qualche colpo nella seconda parte ma si chiude con eleganza, confermando, casomai ce ne fosse ancora bisogno, l’originale talento di Anderson.
Splendida l’apparizione del lupo.


giovedì 8 aprile 2010

Aliens from the ghetto

L’inizio è una bomba: c’è l’astronave, ci sono gli alieni, c’è il ghetto. Punto. In medias res, dritti al cuore del problema. Lo stile documentaristico si dimostra fin da subito uno dei punti di forza del film perché contribuisce a creare quell’atmosfera di surreale verosimiglianza che lo rende a modo suo unico. L’altra gran trovata è il rovesciamento dello stereotipo degli extraterrestri – non più invasori ma vittime – raccontata tramite una classica storia di caduta e redenzione.
Il solo vero difetto imputabile a District 9 è la sceneggiatura: la credibilità conquistata in pochi minuti viene infatti azzoppata da una non indifferente sequela di incoerenze e forzature di trama. Ciò non toglie che il primo lungometraggio del giovane Neill Blomkamp, prodotto da Peter Jackson, sia innovativo e intelligente, con un ritmo serrato e degli effetti speciali belli e, soprattutto, funzionali.
Finale apertissimo.

sabato 3 aprile 2010

Preferisco leggere o vedere un film piuttosto che vivere, nella vita non c’è una trama

De Luigi è uno scrittore imbranato, Abatantuono un ex-hippie di mezz’età, la Bilello è brava e bella, la Buy interpreta la Buy che interpreta la solita moglie in crisi e Bentivoglio, coi suoi compassati e malinconici sorrisi, è una spanna sopra tutti. Personaggi stereotipati coi quali Salvatores sperimenta con leggerezza, citando Pirandello e i Soliti Sospetti, entrando e uscendo dalla narrazione e svelandone il trucco. Happy familiy è un gioco cinematografico che diventa rifugio non solo per il protagonista Ezio ma anche, forse, per Salvatores stesso. È questa impronta intimistica a consentire al film di non essere solo un ambizioso esperimento. Non sarà una delle sue migliori opere ma è riuscito e divertente, riesce a parlare di paure usando toni da commedia e ci regala una Milano splendida, ora solare e immaginata, ora notturna e musicale.